Montébore

Il Montébore, con l’accento acuto sulla prima e perché questa vocale va pronunciata “chiusa”, è un formaggio “mix” per dirla nel gergo contemporaneo, formato da un misto di latte vaccino, ovino e caprino a cagliata rotta, ovvero: è ottenuto rompendo la cagliata in frammenti più o meno grandi durante la produzione, e poi pressandola per formare la massa finale.
Parliamo di un formaggio antichissimo che deve il nome all’omonima frazione sita nel Comune di Dernice,
La sua forma caratteristica a tronchi di cono dai diametri rastremati verso l’alto, sovrapposti concentricamente su 3 stadi e detta “a castellino”, che ricorda una torta nunziale, si richiama alla forma di un’antica torre di cui in loco restano solo i ruderi. Il peso della forma intera può variare tra il mezzo chilo e il chilo.

Si gusta in particolare accompagnata con il miele o frutta secca.

Di Montébore se ne parla già nel XII secolo per una cinquantina di forme inviate come omaggio da un benestante di Tortona ad un alto prelato. La raffinatezza del prodotto sembra già consolidata nel 1489, quando fu l’unico formaggio servito al banchetto nuziale di Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Sforza.

La sua produzione si estinse di fatto nel 1982 anche a causa dello spopolamento della zona di produzione, ma la tradizione fu recuperata dall’Enogastronomo Maurizio Fava che una quindicina di anni dopo rintracciò Carolina Bracco, ultima depositaria dell’antica tecnica di lavorazione casearia tradizionale, poi seguita fedelmente da Roberto Grattone e Agata Marchesotti della Cooperativa Vallenostra a partire dal 1999, unici produttori del Presidio Slow Food del Montébore, fino al 2019. Il formaggio è anche stato riconosciuto come P.A.T. (prodotto alimentare tradizionale italiano).